Quando si riceve un addestramento Buddhista non si considera il Buddhismo come una religione. Lo si considera come una specie di scienza, un metodo di esplorazione delle proprie esperienze tramite tecniche che permettono di analizzare le nostre azioni e reazioni senza giudicarle, tenendo semplicemente presente che “Oh, ecco come funziona la mia mente. Ecco cosa devo fare per sperimentare la felicità. Ed ecco cosa dovrei evitare per evitare l’infelicità.”
Nella sua essenza, il Buddhismo è molto concreto. Si tratta di agire con lo scopo di favorire serenità, felicità e fiducia ed evitare ciò che provoca ansia, disperazione e paura. L’essenza della pratica Buddhista non è tanto sforzarsi di cambiare i propri pensieri o il proprio comportamento in modo da diventare una persona migliore, quanto rendersi conto che, indipendentemente da ciò che pensiamo delle circostanze che definiscono la nostra vita, noi siamo già buoni, integri e completi così come siamo. Si tratta di riconoscere il potenziale intrinseco della nostra mente. In altre parole, nel Buddhismo non si è particolarmente interessati a migliorarsi quanto piuttosto a riconoscere che si è, proprio qui ed ora, esattamente tanto integri, retti ed essenzialmente buoni quanto potremmo mai sperare di essere. Non ci credete, vero? Bè, per tanto tempo non ci ho creduto nemmeno io….
…Ma la parte migliore di tutto questo è che, non importa quanto meditate, o quale tecnica usate, qualunque tecnica di meditazione Buddhista infine genera compassione, che noi ne siamo consapevoli o meno. Ogniqualvolta si osserva la propria mente non si può fare a meno di riconoscere che assomigliamo a chi ci circonda.
Quando osserviamo il nostro desiderio di essere felici, non possiamo evitare di vederlo anche negli altri, e quando mettiamo bene a fuoco la nostra paura, la nostra rabbia o la nostra avversione, non possiamo fare a meno di vedere che anche tutti coloro che ci circondano provano la nostra stessa paura, rabbia e avversione. Quando si osserva la propria mente, tutte le differenze immaginarie tra noi stessi e gli altri si dissolvono automaticamente e l’antica preghiera dei Quattro Incommensurabili diventa naturale e costante esattamente come il nostro stesso battito cardiaco:
possano tutti gli esseri avere la felicità e le cause della felicità;
possano tutti gli esseri essere liberi dalla sofferenza e dalle cause della sofferenza;
possano tutti gli esseri gioire della felicità altrui;
possano tutti gli esseri dimorare nell’immensa equanimità, liberi dall’attaccamento e dall’avversione
Tratto dal libro: “Buddha, la mente e la scienza della felicità” di Yongey Mingyur Rinpoche (www.mingyur.org)
Tradotto da Carlo Donini per DHARMAYOGAKARUNA2018
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